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Sappiamo bene quanto ci vuole per cambiare usi e costumi di un popolo, a causa di una imponente inerzia culturale che per un lato protegge da oscillazioni pericolose, dall’altro rallenta e frustra molti tentativi di progresso. L’essere umano è fedele all’abitudine, ed è disposto a tutto pur di non doverci rinunciare. Conoscendo la riluttanza quasi catatonica della società ai cambiamenti di prospettiva, non è di fatto sorprendente che, ancora oggi, ci sia una percezione generale che considera più prestigioso scrivere un libro che pubblicare su internet. O scrivere su un giornale piuttosto che su una piattaforma web. Ormai la produzione giornalistica e letteraria si muove su entrambi i fronti, ed è normale trovare un libro o un articolo sia nel formato cartaceo che in quello digitale. Ma, per ragioni economiche e di mercato, in molti casi non è così, e spesso l’informazione si trova solo in pixels o in foglio. Certamente è infinitamente maggiore la quantità di scritti su web che non sono disponibili in un formato fisico, ma ci sono anche molti libri e articoli di periodici e riviste che non finiscono in rete. Il prestigio associato alla carta è parte di un retaggio socioculturale del nostro passato recente, e cozza con due fattori indiscutibili. Primo, una pubblicazione cartacea arriva solo alle librerie o alle edicole, in genere di una ristretta area geografica, mentre uno scritto in rete arriva in tutte le case del pianeta. Secondo, la pubblicazione cartacea si troverà disponibile solo in un dato momento (nel caso delle riviste e dei periodici, un giorno o una settimana), mentre la pubblicazione online sarà disponibile virtualmente per sempre, per lo meno mesi o anni, e in qualsiasi momento di qualsiasi fuso orario. Le differenze nell’efficienza di distribuzione, nel tempo e nello spazio, sono talmente incommensurabili da rendere le pubblicazioni cartacee uno sforzo e un investimento poco attrattivo, per chi abbia come obiettivo quello di comunicare e di rendere disponibile il proprio lavoro. Per quelli che invece cercano un momento di gloria, sicuramente meglio il libro, perché ancora è percepito come medaglia al merito, e perché i documenti digitali in genere non sono autografabili.

Certamente ci sono vincoli che vanno oltre il costume. Per esempio quelli filogenetici: siamo primati, selezionati evolutivamente per “pensare con le mani”, e il nostro sistema cognitivo ha bisogno di “toccare” per poter capire e per poter ragionare. In questo senso, anche se la parola “digitale” viene da “dito” dobbiamo confessare che si riferisce a una realtà dove il tatto si limita in genere ai polpastrelli. Schermi e tastiere sono digitali e digitabili, ma certamente meno tangibili di un libro. Nonostante la quantità risibile di informazione che contiene un libro se lo confrontiamo con un computer, in molte situazioni questa “tangibilità” risulta anche e ancora comoda, come quando viaggiamo o quando abbiamo bisogno di “alterare il supporto informativo” per modificarlo e personalizzarlo, perfezionando il suo ruolo come elemento esterno della nostra memoria e del nostro ragionamento (scrivere note, commenti, sottolineature).

Forse c’è anche una certa diffidenza sul fronte delle garanzie nella conservazione dell’informazione. Un libro si può bruciare o stracciare e perdersi per sempre, ma per cause che possono essere capite, e quindi previste e parzialmente controllabili. Non sappiamo invece quanto durerà un documento digitale, un pendrive o un disco esterno, supporti che un bel giorno, forse domani o forse tra venti anni, per ragioni magico-informatiche che non conosciamo e che non possiamo controllare, potrebbero non essere più leggibili. Senza contare anche le incertezze sul destino dei depositi: un server può contenere moltissima più informazione di una biblioteca, ma è più facile che un bel giorno, per ragioni istituzionali o di mercato, sparisca nel nulla.

Insomma, per qualcuno scrivere per un supporto cartaceo suona a perdita di tempo, perché limita eccessivamente la distribuzione dell’informazione e del prodotto culturale. Per altri, scrivere in internet equivale a non lasciar traccia tangibile del proprio cammino, destinando il contenuto al nulla impalpabile della rete, alle profondità del suo oceano insondabile, e ai capricci delle sue dinamiche imprevedibili. Da un lato dobbiamo riconoscere che ad oggi tablet e computer sono la nostra principale estensione cognitiva, la nostra principale memoria individuale e collettiva, e che le possibilità che offrono questi strumenti hanno cambiato le scale e le misure del sapere. Ma allo stesso tempo non dobbiamo dimenticare che i supporti che hanno dimostrato le maggiori garanzie contro il tempo restano ancora, senza alcun dubbio, la pietra e il papiro.

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