Cirano controllava amore e morte con la spada e con la penna, ma sul lungo raggio la seconda si dice averne ammazzati molti di più che non la prima. Vero o no, non c’è dubbio che l’informazione, oggi più che mai, può essere un mezzo di distruzione di massa. Viene assimilata così com’è, cruda, spesso senza una adeguata cottura né una certa digestione che la possa trasformare in conoscenza. Viene inoculata in tutta la popolazione e in dosi massive, creando flussi incessanti di dati che non vengono spesso nemmeno immagazzinati, ma solo usati per scuotere continuamente una macchina mentale sempre più assuefatta allo stimolo, con una dipendenza costante da dosi sempre maggiori di novità. I livelli di attenzione sono sempre più brevi, le capacità di relazione più limitate, e la necessità di stimolazione fine a se stessa sempre più incessante e invasiva. Le televisioni fanno da sottofondo continuato al quotidiano casalingo, i cellulari avvisano costantemente di nuovi contatti, le messaggerie digitali intasano l’etere di comunicazioni tanto persistenti quanto inutili. Come nel mondo represso e lobotomizzato di George Orwell, dove il ministero della pace si occupava di promuovere la guerra, si chiamano oggi “reti sociali” quei sistemi che stanno inibendo, alterando, edulcorando, e soffocando la capacità di relazione effettiva tra le persone. Le “unità strutturali” dei messaggi si fanno sempre più brevi e superficiali, quasi regredendo a un simbolismo pre-linguistico (lol) che difficilmente può andare oltre un “Io Tarzan, tu Jane”.
Il costante bisogno di stimoli brevi e vacui forse si spiega con la paura del nulla, il terrore di scoprire l’assenza di pensiero, di scoprire il silenzio del non aver niente da dire. Quanto più il corpo è vuoto, quanto più ha bisogno di essere sottoposto a una qualsiasi perturbazione, anche se solo di passaggio. Quanto più la macchina è incapace di pensare, quanto più alza il volume, quanto più alza il volume quanto più la macchina è incapace di pensare. Il frastuono come sollecitazione anestetica, ottundimento acustico, visivo, fisico, e anche informativo. Il rumore assordante di una informazione persistente, fragorosa, incomprensibile nel suo flusso tormentoso, travolgente, ed effimero. Si accetta tutto, purché riempia. E a quel punto la penna, già pericolosa di per sé, diviene micidiale, siringa da inoculazione diretta, endovena spietata, senza mediazione, il farmaco diretto al suo bersaglio.
Chi controlla l’informazione, lo sappiamo, non solo orienta la discussione, ma soprattutto decide cosa merita una discussione, e cosa no. Da sempre, una bugia ripetuta mille volte diventa realtà. E oggi, ripeterla mille volte costa davvero poco. Per lo stesso principio una cosa senza importanza ripetuta mille volte diventa importante. Tendenze e giornalismi, in un momento di assimilazione cruda e incondizionata dell’informazione, invece di analizzare ciò che è importante decidono ciò che è importante. E i clienti comprano le loro dosi, comprano emozioni esterne, in pillole, senza dover stare a farsele da soli. Ma fatti non fummo a viver come bruti ed io, come e da sempre all’uopo, dico la mia, e al fin della licenza sempre tocco, dentro le false righe di questa umana ipocrisia.
Perché non ingrasso gli assi del carro, dicono che sono un trascurato.
Ma se a me piace che suonino, perché li dovrei ingrassare?
E’ troppo noioso seguire e seguire il percorso,
troppo lungo il cammino senza nulla che mi faccia compagnia.
Non ho bisogno del silenzio, non ho nulla a cui pensare.
Lo avevo, tempo fa, adesso non ce l’ho più.
Gli assi del mio carro, non li ingrasserò mai.
(Los ejes de mi carreta, Atahualpa Yupanqui)