La reazione a una affermazione demagogica è sempre scontata e perfettamente prevedibile: accettazione. Provate a dire qualcosa di banale e terribilmente ovvio in un gruppo di persone: le teste si cominceranno a muovere su e giù manifestando approvazione, qualche sopracciglio si alzerà benedicendo la verità rivelata, e faranno eco frasi che includono un “certo” … “è vero” … “chiaro” … In un contesto sociale bisogna in genere dire quello che bisogna dire, affermare quello che bisogna affermare, ribadire quello che bisogna ribadire. Ovvero, bisogna compiere le aspettative della massa. Una affermazione totalmente inutile ma di confermazione reciproca (“noi la pensiamo così”) fa sempre bene all’animo della tribù, rafforza i legami, da sicurezza, non introduce fattori di allarme, evita imprevisti. Funziona sempre, tra gli amici del muretto come tra le file di un dibattito parlamentare. Si tollerano a volte discussioni su temi per i quali non ci sia una posizione comune, ma se provate ad affermare qualcosa che non faccia parte della prospettiva generale, che sia differente dalla tendenza, una posizione che sia in qualche modo più specifica del necessario o che esula dagli schemi condivisi, con molta probabilità alle occhiate allarmate dall’imprevista e dissonante novità seguirà un “beh, questa è solo la tua opinione personale“. Ed effettivamente lo è, come sempre lo sono le opinioni. Però se la prospettiva è comune, non c’è bisogno di ricordarlo, non c’è bisogno di ribadire che tutte le opinioni sono sempre personali. Ovvero, se sto affermando qualcosa di condiviso dal branco (anche se è qualcosa di inutile, persino ipocrita, o addirittura falso) non ho bisogno di ricordare che è solo uno di molti punti di vista, e non una verità. Una posizione condivisa, anche se incerta o incompleta o questionabile come qualsiasi altra prospettiva, riceve lo status di “verità circostanziale”. Nel momento che invece offro l’alternativa devo necessariamente ricordare, per evitare di essere di botto trasportato in un tribunale virtuale e forse condannato all’impopolarità, che l’affermazione è personale, soggettiva, forse sbagliata, che si accettano tutte le altre.
La presentazione di una idea differente dalla media, sia essa giusta o sbagliata, soggettiva o oggettiva, speculativa o comprovata, richiede una opera previa di autoflagellazione e dichiarazione di non-ostilità. Richiede un atto di sottomissione, quasi di perdono per aver introdotto un elemento imprevisto, una confessione di fallibilità, anche se le garanzie dell’idea differente sono dello stesso grado di quelle delle idee condivise. Il codice del branco richiede un preambolo, una dichiarazione di temporanea uscita dalla protezione della banda, e di accettazione delle (imprevedibili) conseguenze. Ovviamente anche se uno assume la responsabilità non per questo le occhiate saranno differenti, ma almeno non si potrà attivare il tribunale tribale, che non avrà ragioni ufficiali per iniziare il processo. Ovvero se il giovane lupo offre la gola in atto di sottomissione e di rinuncia alla lotta, al capobranco gli possono anche rodere gli zebbedei ma non può permettersi di dargli un mozzico, per non passare poi dalla parte del torto.
Gli individui sono imprevedibili, ma le società non lo sono. Come già ribadito a più riprese, la traiettoria di una molecola è impossibile da prevedere, ma il comportamento di un gas si descrive perfettamente con poche variabili. Quante più molecole, quanto più si sa come va a finire. Come notava Edward Wilson, che lavorava con gli insetti e ne vedeva gli schemi nelle società umane, abbiamo una tecnologia divina, amministrazioni medievali, ed emozioni paleolitiche. E questo potrebbe essere un serio problema, perché se la differenza tra un essere umano e un macaco è immensa, quella tra la società umana e quella dei macachi potrebbe essere minima. Ah … dimenticavo … non dico che tutto questo sia certo: è solo la mia opinione.