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Continua la mascherata coronavirica. La scienza ci ricorda costantemente i suoi limiti, la politica la sua incompetenza, e i cittadini la loro irresponsabilità: difficile essere ottimisti. Con migliaia di morti e il collasso dell’economia globale, la gente si lamenta che non può andare in spiaggia a mangiare i calamari, alla partita del figlio, o a sballarsi in discoteca. Già dalle prime fasi dell’apertura si vedeva che la cosa buttava male. I bambini, venerati come semidei nella nostra cultura in cerca di continue motivazioni sociali, hanno il sacro diritto di rotolarsi nel fango e succhiare tutti i pomi delle porte che vogliono. I loro papà e le loro mamme sono dediti al culto, anch’esso sacro e intoccabile, dell’alcol e del divertimento, che si celebra nell’ammucchio notturno di barucci o salotti anossici e densamente salivati. E, finalmente, viene il branco, gli adolescenti, che da mesi qui in Spagna si ammontonano in parchi e vicoletti per scaricare ormoni ed incoscienza leccandosi reciprocamente i cellulari e condividendo patatine e chupa-chups. Il messaggio di tutta questa gente è chiaro: 1) non credo a una parola di quello che dicono medici e scienziati, io sono molto più sveglio di tutti loro, e 2) la legge vale per gli altri, non per me. Detto questo, siamo quasi ad Agosto, il virus non è andato in vacanza, e tornano i focolai della pestilenza. Ed è interessante notare come spesso i casi si associano a situazioni estreme, come i braccianti stagionali e le baldorie alcoliche. Emigranti i primi, nativi i secondi. Ovvero, quelli che non hanno nulla, e quelli che hanno tutto. Quelli che non posso scegliere, e quelli che potendo scegliere non sono capaci di farlo. Nel primo caso evidentemente ci sono di mezzo condizioni di lavoro e diritti umani, nel secondo c’è la strafottenza e l’arroganza ottusa di una irresponsabilità tracotante.
In teoria una soluzione minima dovrebbe essere la legge. Un bel carico di multe ai bar e ai loro clienti e passa la paura. Ma la situazione è tesa, e le autorità non se la sentono di prendersi le responsabilità per cui vengono pagate. Multare i bar non se ne parla, si scatenerebbero le ire di clienti e gestori. In Spagna, l’economia si regge davvero seriamente su ozio, turismo e divertimento (soprattutto alcolico), e se non ci si può più prendere il vino la gente non ha più la principale valvola di sfogo sociale necessaria a dare un senso minimo a quel che resta della loro vita al di fuori del frustrante lavoro. Come si suol dire, bere non è la risposta, ma aiuta a farti dimenticare la domanda. E anche gli adolescenti non si toccano. Se vogliono ammucchiarsi e sbavare sui cellulari degli amichetti nessuno deve poter dire nulla. Primo perchè le multe non le pagano loro ma i loro padri (che sono quelli che stanno al bar). Secondo perchè poi i padri si incazzano e montano scenate. Terzo perchè probabilmente il padre di qualcuno di loro è proprio il poliziotto che deve fare la multa, o il suo superiore, o un consigliere comunale, o un giudice, o un lei non sa chi sono io qualunque dei tanti che ancora pullulano per questo pianeta.
Insomma, gli ammucchi di adolescenti inquieti e di spensierati bevitori facevano prevedere nuovi focolai e, chi l’avrebbe mai detto, è proprio quello che è successo. La maggior parte dei casi qui in Spagna, a parte appunto i poveracci emigranti dell’agricoltura stagionale, stavolta non sono gli anziani, ma i giovani e i loro padri. Che sorpresa. L’istituzione si caca addosso, non sa che fare, non vuole magagne ma non ha il coraggio di affrontare padri negligenti e adolescenti ormonati. E allora la soluzione migliore che hanno incontrato è stata: basta, tutti devono tenere la mascherina, sempre! Ovvero, non voglio prendere di mira un gruppo specifico, e quindi fotto tutti e amen. Che si arrangino. Come risultato, gli adolescenti continuano ammucchiati sputazzando su patatine e cellulari, i loro padri continuano sbraitando al bar, però se sei solo in mezzo alla strada devi metterti la mascherina, perchè in giro la polizia sta cercando capri espiatori da usare come esempio di inflessibilità e di efficienza, per far vedere che l’istituzione reagisce duramente senza farsi intimidire.
Prima eccezione per lo sport: se leggo un libro sulla panchina di un parco devo indossare la mascherina, ma se corro intorno alla stessa panchina con una tuta da ginnastica allora posso evitare di metterla. Le partite di calcio sono intoccabili, ma guai a te se ti fai beccare a dare una passeggiata mattutina senza indossare la debita protezione. Seconda eccezione per l’ozio: se sto consumando al bar posso (evidentemente) mangiare e bere senza mascherina. Insomma, puoi comprare il diritto a toglierti la maschera dal volto per qualche minuto al modico prezzo di un gelato o di una birra. Terza eccezione per i bambini: sono i principali portatori sani, ma per loro la regola non vale. Mai.
Nella maggior parte delle interviste a giornali e televisioni, i responsabili delle regioni spagnole hanno dato quasi tutti la stessa risposta alla domanda sul perchè di una misura apparentemente tanto drastica e non troppo sensata: si è deciso di adottare questa misura estrema perchè … lo hanno fatto anche le altre regioni! Una strategia che rivela una disastrosa incapacità generale e una totale mancanza di competenza. Il principio è che se faccio quello che fanno gli altri allora la responsabilità delle conseguenze non è più mia, ma delle scelte collettive. Non c’è alcun dubbio, il comportamento umano è sempre, decisamente, virale.
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Mascherata: fig. Messinscena ridicola o buffonesca, azione o impresa di pura apparenza, priva di serietà e di efficacia (con sign. affine a buffonata, pagliacciata (Treccani)