Lo Zen è una elaborazione giapponese della filosofia buddista. Detto questo, il resto è piuttosto oscuro. Se provate a chiedere in giro “cosa è lo Zen?” troverete esperienze, prospettive, sensazioni, ma non risposte. Che si tratti di libri filosofici o più spirituali, pagine web o direttamente parlando con chi lo pratica, è quasi impossibile tirare fuori definizioni, metodi, concetti concreti o indicazioni chiare. Spesso si incontrano solo nozioni sparse e incomplete, che valgono per lo zen così come per tante altre discipline o tradizioni affini allo sviluppo personale e all’introspezione. Forse perché lo zen è uno stile di vita, e quindi difficile da definire. Forse perché lo zen è il risultato di un lungo e complesso percorso personale, e quindi impossibile da ridurre a uno schema semplice ed immediato. Forse perché qualcuno ci giobba e lo colora apposta con mistero e misticismo, per darsi un tono e passare per sacerdote di segreti incomprensibili. Forse perché molti di quelli che lo praticano non lo hanno capito poi troppo a fondo, o quelli che lo spiegano non sono poi troppo bravi a raccontarlo. Forse per tutti questi motivi messi assieme, il ché genera una situazione difficile da valutare, soprattutto per chi volesse avvicinarsi a questa cultura. Dedicarsi a conoscere o a capire una prospettiva millenaria e profonda come questa richiede tempo e impegno, e quindi non motiva il fatto di non riuscire a valutare i suoi contenuti e i suoi orizzonti, al momento di decidere di intraprendere il viaggio. In altri casi ugualmente complessi e impegnativi (come il buddismo stesso o la meditazione mindfulness, lo stoicismo o le tante filosofie di vita interculturali) le informazioni sono incredibilmente più chiare e dirette, le fonti molto più concrete, e non si capisce quindi bene perché, nel caso dello zen, ci siano tanti misteri.
Il libro Zen Training, di Katsuki Sekida, è decisamente un’eccezione. In italiano è stato tradotto come La pratica dello Zen, e pubblicato da Astrolabio/Ubaldini con una copertina decisamente poco attrattiva. Il titolo non mente: training si riferisce al fatto che è un testo estremamente pratico, empirico, applicato. Un manuale. Ti dice come e perché. Ovviamente, tutte queste tradizioni filosofiche, nonostante le basi in comune, sono poi influenzate dal contesto storico e locale, e hanno una forte componente individuale. Quindi, in realtà, non esiste “uno zen”, sono sempre prospettive adattate alla propria esperienza, e quindi in questo caso il manuale si riferisce allo zen sviluppato specificatamente da Sekida durante una vita di pratica e di studio, con tutte le idiosincrasie psicologiche e sperimentali che ognuno aggiunge alle sue ricette personali. Ma una delle basi del libro è proprio questa: Sekida propone di condividere con la comunità i segreti e i trucchi di chi pratica zen, per far si che lo zen si diffonda, e che i suoi praticanti non debbano passare anni brancolando nel buio, ma possano approfittare delle esperienze sincere di chi ha già sviluppato tecniche e soluzioni. Afferma che lo zen si mantiene troppo spesso nel segreto dell’esperienza personale, e questo ne limita la diffusione e lo sviluppo individuale. Propone uno zen sociale, per il popolo, transculturale, ma per fare questo c’è bisogno di testi chiari, dove invece di concetti sfumati si spieghino le tecniche e i principi psicologici. Inoltre, è convinto che bisogna usare un linguaggio che unisca la cultura orientale e quella occidentale, e che bisogna indagare lo zen, la sua pratica e i suoi effetti, con i metodi della scienza. E qui la sorpresa: Sekida diceva tutto questo … negli anni sessanta! Il libro fu pubblicato nel 1975. Un incredibile pioniere. Davvero incredibile. Un vero illuminato.
La prima parte del libro parla dello za-zen, ovvero della pratica meditativa dello zen. Un manuale in piena regola, con schemi, grafici, consigli e trucchi per allenarsi nella pratica posturale e respiratoria. E’ una meditazione molto distinta da quella del mindfulness, dove la respirazione (decisamente ipossica), segue schemi complessi e dinamici, e la tensione muscolare è sotto continuo controllo. Inoltre, la meditazione di Sekida è principalmente introspettiva, quasi un isolamento sensoriale, ovvero esattamente il contrario del mindfulness. Il tutto viene condito con nozioni dettagliate di fisiologia e degli aspetti cognitivi coinvolti, dall’attenzione alle onde elettroencefalografiche. Poi ci sono parti teoriche, concettuali, la filosofia di vita, ma senza eccessi astratti o spirituali, un racconto diretto e ragionato dell’esperienza. Infine, c’è una parte dedicata alla psicologia zen, una parte abbastanza ripetitiva e apparentemente irreale, che ha bisogno di due o tre riletture per rivelare una struttura sensata (e soprattutto utile) dei suoi concetti.
Ma Sekida non viene da solo. Era maestro di inglese, controllava perfettamente la lingua, e aveva passato diversi anni a Honolulu. Fu lui stesso a tradurre un suo testo originario dal giapponese all’inglese, pubblicando articoli e bozze. Però la versione finale del libro, quella pubblicata poi in tutto il mondo, fu una edizione rivista e selezionata, con la supervisione di Sekida, da Albert Victor Grimstone. Grimstone era un biologo di Cambridge, un pioniere del microscopio elettronico, uno dei primi a descrivere i dettagli di ciglia e flagelli di protozoi e batteri. Edita il testo, lo corregge un poco, seleziona il materiale (molto) ripetitivo di Sekida, e scrive una introduzione degna di un genio. Un vero genio. Accademico inglese negli anni 60, scopre la meditazione come allenamento cognitivo e psicologico, cerca di integrare lo zen nei costumi occidentali, e ne promuove uno studio scientifico e fisiologico. Da qui il contatto, totalmente simbiotico, con Sekida. Per quello che ne so, Grimstone non ha lasciato molte altre tracce: questo libro, e un manuale di microscopia. Negli anni si allontanò dalla ricerca scientifica, dedicandosi alla vita locale. Non mi stupisce. Un biologo che a metà del secolo scorso abbia avuto una apertura mentale così estesa e una visione così potente da voler indagare la struttura proteica delle amebe con fasci di elettroni e la struttura cognitiva della coscienza con tecniche di meditazione non deve aver avuto vita facile, nella continua tormenta emozionale di incoerenza, ipocrisia e sofferenza della società umana.
Immagino aver avuto un Sekida come nonno, e Grimstone come professore di zoologia. O aver almeno condiviso con entrambi una serata in una birreria di Cambridge. Il loro libro resterà comunque sul mio comodino, tra quelli che ogni tanto bisogna rileggere a pagine sciolte, un po’ per recuperare concetti e riflessioni, un po’ per ricordarsi di chi è riuscito a dare un esempio.