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Viandante sul mare di nebbia - Caspar David Friedrich, 1818

Penso dunque sono. Ma in realtà sarebbe meglio dire che penso e, al massimo, penso di essere. Tra il materialismo più bieco e le distopie cognitive più sconvolgenti, c’è solo una certezza: non ci sono certezze. Siamo macchine reali, individuali e autonome, o è tutto un sogno nel sogno, frutto di una illusione totalmente immaginaria ma perfettamente convincente? Per la seconda opzione non serve un disegno cosmico o un programmatore onnipotente, ma basta prendere un po’ sul serio la neurobiologia: una valanga di stimoli raggiunge il nostro corpo sotto forma di energia, le interfacce fisiologiche dei nostri sensi le trasformano in segnale nervoso, il cervello integra il tutto e genera uno scenario, un personaggio, e una storia. Un girasole non è giallo, non è nemmeno colorato, è il nostro cervello che associa lo stimolo di una certa lunghezza d’onda a una percezione di “colore”, e dipinge il girasole di giallo. L’esempio è semplice ma di grande impatto (la maggior parte delle persone non hanno mai considerato che la realtà non è a colori, ma è il nostro sistema nervoso che la rappresenta così), e si può estendere a tutte le nostre percezioni, ma è ovviamente un esempio molto specifico, e le cose si complicano abbastanza quando passiamo a concetti più sfocati come la coscienza o la percezione del sé.

Una scossa forte ai pilastri dell’individualismo arriva dai concetti di impermanenza e interconnessione, sviluppati un po’ da tutte le filosofie mondiali ma particolarmente cari al buddismo. Il primo principio si riferisce al fatto che tutto cambia, anche se continuamente ci afferriamo alla assurda speranza di una stabilità, di una continuità, di una consistenza, di una realtà unica vera e giusta. Tutto invece cambia costantemente, nulla rimane uguale a se stesso, è il principio della vita, della morte, e della termodinamica. Non ci bagniamo mai nello stesso fiume, ma nemmeno il fiume può bagnare due volte lo stesso corpo. Il secondo principio ci ricorda che la frontiera della nostra pelle è convenzionale: materia e energia non hanno confini ne padroni, e viaggiano continuamente da un elemento a un altro di un sistema che va ben oltre lo spazio che occupiamo in questo momento, o che occuperemo durante la nostra vita. Niente di nuovo per chi conosce come funziona l’ecologia. Come individui, siamo solo cellule di un sistema molto più complesso, che hanno bisogno di tutti gli altri elementi per poter, perlomeno, esistere. E incluso per poter pensare. Questi due principi annientano qualsiasi tentativo di stabilire una autonomia del nostro essere o della nostra individualità, tanto nel tempo (impermanenza) come nello spazio (interconnessione). Se a questo aggiungiamo la prospettiva neurobiologica di cui sopra, dove il mondo che conosciamo non è altro che un modello neuronale, non c’è ritorno: pillola rossa. E così scopriamo che non siamo il personaggio della nostra storia, ma solo un suo lettore.

Ma allora chi è il personaggio? Il personaggio è un insieme di ricordi e aspettative, desideri e paure, preconcetti e convinzioni, che il nostro sistema nervoso costruisce e associa a un corpo, e che si chiama ego. Tutte queste caratteristiche, fisiche ed emozionali, si inseriscono in una progressione temporale basata su proiezioni che chiamiamo passato e futuro, simulazioni virtuali principalmente basate su immagini e parole, e così si genera una storia. Noi “siamo” solo nel presente, ma le nostre proiezioni creano una sequenza immaginata, che ci dà una sensazione di continuità: il mio corpo e le mie emozioni, in una sequenza cronologica. Il personaggio di questo film si nutre delle risorse neurali per creare la percezione di una individualità e continuità di se stesso, nello spazio e nel tempo. E’ un prodotto automatico, quindi in genere non siamo coscienti della sua formazione, e ci lasciamo andare, facendoci proiettare inconsciamente in questa costruzione fatta di emozioni e pensieri. L’assioma “Io sono così” si sviluppa con le condizioni di un pilota automatico, con tutte le sue etichette e i suoi pregiudizi.

Ovviamente non ci sono molte alternative, abbiamo bisogno di questo personaggio (o per lo meno di un personaggio) per poter gestire (e goderci) l’unica vita che abbiamo. Ma le difficoltà arrivano quando questo personaggio non ci conviene, quando ci dà problemi, o quando non ci piace. Il che succede, in un grado più o meno estremo o in momenti particolari della nostra vita, con estrema frequenza. Le conseguenze vanno dall’insoddisfazione cronica alla depressione, dallo stress all’agonia, dall’infelicità alla tristezza, dalla disperazione alla noia. In poche parole, il personaggio finisce per esprimere una sofferenza ontologica del genere umano, il dramma esistenziale di tutti quei poeti e filosofi che cantano il dolor del vivere, il nulla di chi arriva, prima o poi, a un punto troppo vuoto della propria esistenza, e incomincia a farsi domande che avrebbe dovuto cominciare a farsi molto prima. Ed è chiaro che se ci identifichiamo nel personaggio non c’è rimedio: ci è toccato questo, e siamo condannati a tollerarlo, o magari a farci a botte tutta una vita. Manco a dirlo, le conseguenze non si pagano solo a livello individuale, ma in genere poi si fanno pagare a tutti quelli che capitano a tiro. La alternativa: ricordarsi che è solo un personaggio, che è il mio personaggio, e che quindi se non mi piace lo cambio subito.

L’ego è un prodotto automatico, e quindi la prima cosa da fare quando comincia a dare problemi è proprio uscire dall’automatismo, addestrando attenzione, coscienza, e presenza. Separando le percezioni dalle sensazioni, le sensazioni dalle emozioni, le emozioni dai pensieri. Pillola rossa. Separare i componenti per poterli osservare e riconoscere, e quindi, alla fine, poter decidere. Poter decidere davvero, senza la voce del personaggio che ti dice cosa fare. Senza gli istinti che ti fanno decidere in base a secrezioni biochimiche, selezionate per far trionfare la specie a scapito della felicità dell’individuo, manipolandoti con neurotrasmettitori e ormoni che ti fanno credere a bisogni che in realtà non hai. Senza le pressioni sociali e culturali, che generano speranze, aspettative e necessità che non sono le tue, e che la maggior parte delle volte sono selvaggiamente determinate dal contesto economico, politico o religioso, tre sistemi che campano precisamente fomentando paure, insicurezze, e tante altre debolezze umane che hanno radici incredibilmente profonde.

Qualcuno arriva a capire che questa transizione è difficile e complicata, ma l’alternativa è davvero molto peggio, e inizia un percorso che cerca nuovi orizzonti, sapendo che, comunque, non ci saranno mete. Il lettore della nostra storia si converte allora nel suo scrittore, o perlomeno nel responsabile del casting. Per entrare in questa fase non sono necessarie abilità specifiche o requisiti speciali, eccetto uno: la volontà. Qualcuno invece farà finta di niente, guardando da un’altra parte e consegnando la propria vita all’esecuzione passiva delle reazioni automatiche e delle emozioni convulse, riservandosi il diritto di lamentarsi per gli anni a venire. E infine qualcuno non si accorgerà di nulla e continuerà, nel bene e nel male, a pensare che i girasoli sono effettivamente gialli, che gli altri sono la causa di tutti i suoi problemi, o che un centro commerciale è un buon posto per passare un pomeriggio. Nel primo caso, evidentemente, bisogna accettare di separarsi da un personaggio che ci ha accompagnati per tanto tempo. Siamo il frutto di aspettative, di speranze, di conflitti e di certezze che hanno determinato non solo le nostre emozioni, ma anche i nostri interessi, le nostre preferenze, e le nostre magnifiche ossessioni, molte delle quali hanno rappresentato, sempre nel bene e nel male, la fonte delle nostre priorità, e delle nostre motivazioni. Dobbiamo quindi essere pronti a scoprire che, nella tana del Bianconiglio, alcune di quelle motivazioni non hanno più senso, ed è arrivato il momento di lasciarle andare. E per far questo bisogna imparare a vivere il cambiamento non come una perdita, ma come una opportunità.