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Mi sono iscritto a Biologia nel 1991, senza nessun obiettivo preciso e con tantissima curiosità, e l’unica certezza che avevo era l’intenzione, limpida e serena, di studiare zoologia. Finalmente, la zoologia. Emozione, attesa, e, appunto, quella sana curiosità, aperta e sincera, dello “stiamo a vedere che succede”. Quel benessere contemplativo, rilassato e felice, della mente del principiante. Sapevo di non poter aspettarmi nulla, era inutile farsi previsioni basate su una passione che, fino ad allora, si era nutrita solo di divulgazione da edicola e sensazioni indefinite, per quanto motivate e consistenti. Saper di non sapere, e quindi, semplicemente, godersi la scoperta. Non potevo sapere infatti che, di tutti quegli animali che c’erano in giro, alla fine l’interesse ecologico ed evolutivo non sarebbe caduto sui pelosi mammiferi dei tanti film, libri e documentari che avevo visto, ma sui protozoi, sugli artropodi,  sulle tartarughe, o sulle invisibili lucertole dei nostri boschi. Non potevo nemmeno immaginare che poi, con gli anni, avrei cominciato a interessarmi non tanto all’ecologia quanto invece alla morfologia, alle ossa, ai crani, e ai primati. E, alla fine, al primate umano, alla sua evoluzione, e all’evoluzione del suo cervello. Sorprese da la vita. E tra le tante cose che non potevo immaginarmi, come zoologo imberbe, c’era anche il fatto che, ad aspettarmi nell’Aula Pasquini della sede di Zoologia de La Sapienza, ci sarebbe stato Roberto Argano. Magia. La biologia mi dedicò, nel mio secondo anno di corso, un eccezionale benvenuto. Un abbraccio di quelli che creano un vincolo definitivo. Tra le luci soffuse e gli aromi tossici e romantici della formaldeide, il viaggio, la scoperta, lo stupore. Ogni nuovo animale veniva presentato come “il più bello di tutti”, ed era vero, era il più bello, perché tutti erano belli, tutti erano i più belli, i più affascinanti, i più misteriosi, i più incredibili. In ogni goccia d’acqua c’era tutto il mondo, c’era tutto il mistero del mondo, e c’era tutto lo stupore del mondo. E c’erano emozioni, racconti, viaggi, aneddoti, le leggende impossibili e quelle invece che sono addirittura probabili, le impensabili soluzioni dell’anatomia e le imprevedibili combinazioni dei sistemi ecologici. La magica normalità della vita. E Argano che te la racconta, come se fosse la cosa più incredibile e fantastica del mondo, perché, di fatto, è la cosa più incredibile e fantastica del mondo.

Quando recentemente gli hanno domandato perché iscriversi a Biologia, Roberto ha risposto:

Beh, c’è scritto anche su Wikipedia: la Biologia è la scienza che studia tutto ciò che riguarda la vita: a partire dagli organismi più immediatamente visibili, piante, animali, funghi fino a scendere giù giù agli onnipresenti e onnipotenti batteri e archea e virus e poi a risalire su su da questi ultimi pulviscoli genetici alle interazioni infinite tra tutte le creature, interazioni attuali (le mille sfaccettature delle ecologie) o storiche (evoluzione). Passare cinque anni all’Università (compreso un biennio di specializzazione) a studiare Biologia significa metter fuori la testa dalla quotidiana fanghiglia dei luoghi comuni. Significa acquisire concetti e linguaggi relativi ad un vero universo di fatti e di idee portati alla luce della nostra comprensione da migliaia di persone che hanno trascorso l’esistenza nei laboratori o comunque lavorando con gli organismi. Come può non interessarti? Per fare che, poi? Si può fare di tutto, dipende dalla qualità di competenza acquisita nel settore prescelto: puoi finire in un laboratorio a esplorare molecole o cellule, progettare farmaci, garantire la qualità degli alimenti, inserirti nell’esercito che si batte per la salvaguardia del pianeta con qualche strumento in più di una gratuita passione, esplorare il mondo per determinare lo stato della biodiversità da cui dipendiamo, trasmettere le conoscenze acquisite sull’armonia e bellezza della vita attraverso la scuola e i musei, infiniti sono i campi in cui si può operare. Certo, lavoro oggi ce n’è poco, non quanto sarebbe bello e necessario, ma nessuno sa come sarà fra cinque anni. Tu sai che l’unica speranza di avere una vita felice, in cui siano soddisfatte le tue individuali esigenze intellettuali e professionali, è provarci con tutta l’anima: se esiste qualcuno che fa quello che tu vorresti fare perché tu no? E, almeno per cinque anni, dedicati al piacere di vivere, nei limiti del possibile, come vorresti. Tieni comunque serenamente presente che iscriversi all’Università è facoltativo. Se non rientra nei tuoi interessi condurre una vita arricchita da un po’ di sale di conoscenza (fatti non foste…) non ti iscrivere, senza laurea si vive benissimo.

Il corso di Roberto era un viaggio profondo nella vita, nello stupore della vita, talmente profondo che, dopo due mesi scarsi, lo abbandonai. Come matricole, avevamo sul gobbone l’ombra delle matematiche, delle chimiche e delle fisiche propedeutiche, e decisi che non potevo dedicarmi alla zoologia – e soprattutto alla zoologia di Roberto Argano – avendo la testa occupata da quelle incombenze amministrative (nel mio caso, eccezion fatta per la matematica, gli altri corsi erano inoltre tremendamente appesantiti da docenti di un pessimo livello, didattico e umano). Lasciai il corso, per tornare un anno dopo a cose fatte, e potermi dedicare solamente a seguire Roberto nei meandri della biologia animale.

Da allora sono passati trent’anni. Trent’anni di zoologia e di vita. Da professore a mentore, da mentore ad amico. Una amicizia che non ha mai cambiato il fatto che Roberto, comunque, era e sempre sarà il Professor Argano. O, semplicemente e universalmente, Argano. Che fosse per questioni accademiche o scientifiche, per un consiglio o anche solo per prendersi un caffè, entrare nell’ufficio di Argano è sempre stato un momento importante, in un certo modo un rito, il momento di andare a riunirsi nel tempio, fermare per un momento il passo del tempo e prendersi una pausa. Lui stava lì, tra mappe e riviste, isopodi e fotografie, pronto a raccontarti un’altra storia, e un altro punto di vista. Andavi a cercarlo e gli raccontavi dei tuoi dubbi o di una qualche tua difficoltà, che fosse personale, professionale o tassonomica, sapendo che non ti avrebbe mai dato una risposta, ma ti avrebbe permesso di capire molto meglio la domanda. E ci riusciva sempre.

Adesso il Professor Argano se ne è andato, senza troppi preavvisi. Ecco qui un bel ricordo, sul blog di Vincenzo Vomero. Roberto è stato, secondo me, un gigante del suo tempo. E, in quel suo tempo, un esempio, un riferimento, e una fonte costante di motivazione. Nel 2010 iniziammo a pubblicare, con alcuni amici, un blog su zoologia e biologia, un blog che durò circa cinque anni, e che iniziò proprio con una intervista a Roberto sullo stato dell’arte della zoologia, tanto a livello scientifico come accademico. Nel passaggio del millennio era cambiata non solo la disciplina, ma anche l’università, le priorità, gli obiettivi, le dinamiche economiche e sociali. Nelle transizioni veloci, che siano più o meno locali, è difficile fare un bilancio cosciente dei rischi e dei vantaggi, di quello che si guadagna e di quello che si perde. Ma la percezione del cambiamento è comunque profonda e, già in quegli anni, la zoologia e la scienza in generale avevano poco a che fare con tutto quello che avevo conosciuto io come studente di biologia, e come studente di Argano. Impermanenza. E, tra il bene e il male, un po’ di nostalgia, per un passato a cui non siamo mai appartenuti, e per un presente a cui non siamo sicuri di poter appartenere. Resta, per quel passato, una sincera gratitudine. Nel bene e nel male, quel passato è la nostra storia, che ci ha resi quel che siamo, mentre noi ne determinavamo quel che, alla fine, è stato. Grazie, Professor Argano, è stato un vero piacere, e credo un privilegio, aver potuto condividere con te questa storia, e lo squisito stupore per l’incredibile spettacolo della vita.

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Mei - Argano

[Disegno di Maurizio Mei]