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Homo heidelbergensis

George Orwell ci presenta un mondo dove ipocrisia e paura strutturano la società secondo criteri comuni, condivisi, e assurdi. Herbert George Wells invece ci racconta di come, in una società di ciechi, chi ha occhi rischia l’incomprensione e l’isolamento. L’analogia tra il comportamento dei gruppi umani e le molecole di un gas è sempre attuale: l’individuo è completamente imprevedibile, ma la massa ha un comportamento assolutamente lineare, scontato, e ripetitivo. A livello individuale le risposte sono spesso assurde e inesplicabili, spesso fuori della logica o del senso comune, ma quanta più gente si somma quanto più il comportamento del “super-organismo” si struttura secondo regole banali e invariabili. A fronte del progresso tecnologico e culturale generalmente indotto e stimolato dall’azione di poche persone, la massa più si fa pesante più si chiude in comportamenti stereotipati e reazionari. L’unione fa la forza, ma stimola anche comportamenti di attacco e di difesa che creano contraddizioni e diffidenze. La stessa unione che fa la forza quindi genera i presupposti per sprecarla, o addirittura per legittimarne un uso discutibile. I gruppi umani sono caratterizzati da “un certo grado” di ipocrisia, incoerenza, falsità, e questo grado può essere alto o basso, ma mai nullo. Credo che, generalmente, possa essere abbastanza cospicuo. Sono valori e comportamenti ritenuti negativi e sempre criticati in qualsiasi contesto, il che rende la cosa ulteriormente interessante: la società ufficialmente li rigetta, ma non ne può fare a meno.

Qualsiasi tipo di meccanismo ci sia dietro, dalla selezione biologica a quella sociale, dai processi culturali a quelli psicologici, questi schemi li trovi a tutte le scale, dalla politica al gruppo di quartiere, dal contesto lavorativo a quello familiare. E quel “certo grado” di ipocrisia, incoerenza, e falsità, essendo mediamente condiviso, struttura le relazioni. I rapporti si assestano su quella certa dose di miseria dell’animo umano, e la realtà sociale si auto-organizza secondo quei limiti intrinseci di comportamento morale. A livello sociale quei limiti morali diventano ragione di condivisione, di spirito di gruppo. A livello personale quei limiti morali diventano giustificazione, tolleranza, accettazione, o almeno riparo da sguardi indiscreti. È una forma di omertà: quando ipocrisia, incoerenza, e falsità sono condivisi, nessuno può giudicare nessuno. Ed è su quel “certo grado”, alto o basso che sia, che si organizza la tribù.

A causa dell’importanza e della delicatezza di questo tipo di relazioni, basate su un compromesso morale di debolezza e collusione, qualsiasi eventuale segnale di disequilibrio viene represso con tutta la violenza della paura e del torto. Chi non accetta quel “certo grado” di ipocrisia, incoerenza, e falsità, non solo viene automaticamente esiliato, ma diventa bersaglio di tutto il gruppo, le cui relazioni, simulate e ammaestrate con un compromesso tacito e consapevole di reciproca e concordata omertà, vengono messe a rischio dall’anomalia. Come già detto, almeno ufficialmente la critica a queste miserie umane è assoluta e indiscutibile, quindi chi denuncia o comunque non accetta queste condizioni morali non può essere attaccato apertamente. Ma il branco ha paura, e si organizza. Ostracismo e mobbing, indiretto ma spontaneo, inconscio ma non celato, condiviso ma non accordato, complice ma non colpevole. Nessuno preme il grilletto, ma l’esecuzione è garantita. Da qui l’affermazione di Pio Baroja sull’impossibilità di avere un governo giusto, per un popolo che giusto non è.