La vita è come una partita a scacchi. E io non so giocare a scacchi! La frase girava in qualche meme dove un tizio prestava una faccia in stile Grande Lebowsky, in orgogliosa accettazione di una sincera inadeguatezza esistenziale, un doveroso elogio all’incapacità che, in chi più e in chi meno, prospera in tutti noi. Gli scacchi insegnano, e da sempre sono stati presi come analogia per affrontare le difficoltà della vita, risolvere problemi, o allenarci a pensare. Ma, come tutte le analogie, non bisogna poi ossessionarsi e spingere il confronto troppo a fondo, sennò si perde di vista che una analogia è una analogia, e non la realtà. Jiddu Krishnamurti ha fatto notare come l’essere umano, appena crea un simbolo, dà più importanza al simbolo che a ciò che rappresenta, generando alla fine credenze e conclusioni che non hanno più un riscontro utile con la realtà delle cose, o con la motivazione originaria che aveva quel simbolo. E la vita, alla fine, non è una partita a scacchi. Soprattutto perché negli scacchi bisogna seguire delle regole e delle norme, mentre nella vita no. Ci sono ovviamente molte regole e norme nella nostra vita quotidiana, civile e istituzionale, ma la maggior parte sono tacite, e quindi ognuno ha poi la facoltà di decidere se, quando, e quanto seguirle. Di fatto, c’è chi ha una abilità indiscutibile nel gestirsi la vita con un certo successo seguendo le norme, e chi invece è abile proprio a non seguirle, o incluso ad inventarne di nuove. La maggior parte sono norme sociali, e quindi è tutta una responsabilità individuale quella di decidere (o scegliere) in che misura l’accettazione di queste norme può migliorare o peggiorare il proprio benestare.
Una seconda differenza apparente tra la vita e un gioco riguarda invece gli obiettivi. Un gioco ha un obiettivo dichiarato, la vita no. Ovvero, anche volendo seguire le norme prestabilite, uno può sempre decidere per quale obiettivo volerle seguire. Dico che è una differenza apparente perché, in realtà, anche in un gioco uno può sempre decidere di avere un obiettivo personale. Negli scacchi si suppone che lo scopo è quello di assediare il Re. Ma in realtà nessuno mi vieta di giocare con un obiettivo distinto. Che succede se a me del Re non mi importa nulla e voglio salvare invece il massimo numero di pedoni? O farli diventare rigogliose regine? Immagina una situazione dove alla fine il tuo Re è assediato e sconfitto, ma per fare questo il tuo avversario ha dovuto sacrificare quasi tutti i suoi pedoni, mentre a te ne rimangono ancora molti. Chi ha vinto? Il successo e la vittoria dipendono sempre dal criterio di valutazione, e l’importante è averci il tuo, senza dover dipendere automaticamente dai criteri degli altri. Certo, se è una competizione ufficiale, non ti becchi la medaglia ma, per una piacevole qualità della vita, appunto, è più importante vivere in armonia con i propri valori personali che non accatastare coccarde variopinte. Ovvero, anche in quei casi in cui non abbiamo molto margine di decisione, possono al massimo obbligarci a seguire le regole, ma non a decidere i nostri obiettivi. Le regole spesso non dipendono da noi, gli obiettivi invece sono sempre una scelta personale.
Emiliano Bruner & Carmen Cremades