Tag

, ,

Efrain Rios Montt

Efraín Ríos Montt si è beccato 80 anni di carcere, ne ha 86, uscirà quindi quando ne avrà 166. Colpevole di aver massacrato, torturato, sterminato, macellato, migliaia e migliaia di indigeni durante la sua dittatura in Guatemala. Se è’ vero che è meglio tardi che mai, è anche vero che sarebbe comunque meglio pensarci prima, prima di aver abbandonato al massacro migliaia di persone, e prima di aver perduto tracce, ricordi, e responsabilità, di tutte quelle vite cancellate dal dolore. I metodi di Ríos Montt si conoscevano in tempo reale, anche senza reti sociali, ma come sempre ci si indigna solo dopo decenni, riconoscendo i crimini come tali solo dopo che i morti e le loro famiglie sono stati già scoloriti dalla Storia. Quello che oggi viene presentato come un orrore indegno, negli anni ottanta era una strategia ufficiale della politica internazionale. Celebrando la condanna a questo mentecatto assassino, cerchiamo però di non credere che giustizia sia fatta solo perché il capro ottuagenario dovrà trascinare la bombola di ossigeno nella cella. Come al solito gli peggioreranno le condizioni di salute e dovremmo avere per lui una falsa pietà lasciandogli aspettare un infarto liberatorio. Sicuramente il valore simbolico è importante, fondamentale, perché riconosce l’accaduto, riconosce l’ingiustizia, e la sofferenza. Ma non si può pensare di liquidare migliaia di atroci delitti scaricando odio e verdetti umani e divini su una sola persona.

Innanzi tutto nessuna dittatura si fonda su una persona. Un dittatore, a parte vendere i suoi interessi personali dietro alle ragioni di una falsa ideologia, è sostanzialmente uno squilibrato, un malato di mente, con problemi psichici e sociali. Ríos Montt, Pinochet, Videla, o Hitler, sono colpevoli umanamente e politicamente, ma le mani ce le hanno pulite. Chi massacrava, violentava, torturava, era la gente comune. Chi ti spara o ti macella la famiglia è uno come te, un vicino di casa, un soldato, un civile, e non il dittatore, seduto sulla sua poltrona con sigaro e buon vino. Per un singolo dittatore, ci sono migliaia di bestie che sfogano dietro la dittatura la loro vigliacca frustrazione, la loro incolta e sadica presunzione. Un dittatore non riesce a massacrare un popolo da solo se non può contare su orde di esagitati che si piazzano a tutti i livelli della catena di potere, dai generali ai soldati ai cittadini comuni. E’ giusto e simbolico condannare il dittatore come rappresentante della persecuzione e della strage, ma non per questo bisogna dimenticare tutti, tutti gli altri. La seconda parte che rimane fuori è forse ancora più importante, ed è ovviamente quella politica. Ríos Montt ha massacrato il popolo del Guatemala, ma dietro appoggio e protezione degli Stati Uniti d’America, e con le armi che gli passava Israele. Incoerente, ipocrita, e vigliacco, riconoscere a questo criminale mentecatto tutte le colpe, pensando di aver reso giustizia e di aver lavato la storia mettendo in galera un vecchio trastornato. E’ solo un’altra forma di riscrivere il passato, facendo dimenticare i veri colpevoli sacrificando una pedina che ormai non ha più niente da perdere. I crimini di oggi dovranno aspettare il loro turno, perché prendersela col presente non conviene a molti, mentre il passato si lascia giudicare e raccontare senza fare poi troppi capricci. Il genere umano apprende molto lentamente, ma dimentica quasi subito.

***

Consiglio la lettura di questo articolo di John Carlin (in spagnolo):
El “apartheid” más atroz (El Pais)